Scoperti nel 1800 ai piedi del castello federiciano di Lucera, questi enigmatici bronzetti rappresentano uno dei più affascinanti misteri archeologici d’Italia. Tre teste di stambecco montate su ruote, un disco metallico, e altre figure misteriose: oggetti che sembrano voler raccontare storie antiche e dimenticate.
Fin dai primi disegni inviati a studiosi dell’epoca, si è cercato di comprendere la loro origine e funzione. Tentativi di ricostruzione, smembramenti e interpretazioni, a volte plausibili, altre fantasiose, hanno segnato il lungo viaggio dei bronzetti. Da Lucera a Napoli, Roma, Parigi, Ginevra e Oxford, fino al loro ritorno in patria nel Duemila, la storia dei bronzetti si intreccia con quella dei mercanti di antiquariato e delle più importanti istituzioni culturali europee.
Ma le domande restano: chi li forgiò ventisette secoli fa? Da dove proveniva il metallo utilizzato? E quale personaggio li volle con sé nell’aldilà? Forse un guerriero, un cacciatore, o un viaggiatore?
Le influenze di Etruschi, Campani e popoli orientali sembrano emergere dalla complessità delle forme e delle decorazioni. Oggetti simili sono stati rinvenuti anche in luoghi lontani come il tempio panellenico di Olimpia, suggerendo contatti e scambi culturali che attraversavano l’Italia da nord a sud e il Mediterraneo dall’est.
I Bronzetti di Lucera ci invitano a esplorare un passato ricco e misterioso, a interrogarci sulle civiltà che hanno lasciato tracce così affascinanti e a scoprire le storie nascoste dietro ogni artefatto.
Il Carrello di Bisenzio, un prezioso praefericulum cerimoniale in bronzo montato su quattro ruote, era impiegato nei sacrifici alla dea italica Ops, divinità legata ai cicli della natura e al culto di Saturno. Questo straordinario manufatto, oggi conservato al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma, mostra sorprendenti somiglianze con il Carrello di Lucera dei Dauni. Quest’ultimo, sebbene conservato solo in frammenti e disegni ottocenteschi presso il Museo di Lucera, è riprodotto al Museo Civico di Archeologia Urbana “G. Fiorelli” dal restauratore Salvatore Patete.
Entrambi i carrelli, risalenti all’VIII-VII secolo a.C., sono decorati con figure umane e animali, sia domestici (cani e pecore) che selvatici (cervi e lupi). Il carrello daunio presenta anche un uccello, mentre quello etrusco raffigura una scimmia. Le scene rappresentate includono caccia con cani, combattimenti tra guerrieri armati e simboli del rango aristocratico.
Tuttavia, emergono anche peculiarità distintive: il carrello daunio raffigura tre enigmatiche figure umane su “altalene” e scene di riti religiosi con uomini nudi, forse tibicini intenti a suonare il flauto. Il carrello etrusco, invece, oltre a scene di aratura, include rappresentazioni familiari: una coppia (l’uomo armato, la donna con un vaso sul capo) e una scena di unione simbolica tra uomo e donna, con un bambino armato di scudo accanto, a sottolineare la continuità della vita.
Questi straordinari reperti esaltano i fondamenti del rango aristocratico: famiglia, caccia, possesso della terra, combattimento e riti religiosi. Sono la prova tangibile del profondo legame tra i popoli italici preromani, un filo invisibile che attraversa la storia e unisce culture apparentemente distanti, ma accomunate da valori e simboli condivisi.